SENTIERI CULTURALI IN RETE
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Titolo: Estate 1943. I fatti del 25 luglio e dell'8 settembre a Schio
Autori: Valente Luca
Volume: Sentieri Culturali 13
Anno: 2013
Pagine: 107 - 197
Argomenti: Storia Contemporanea
Abstract: Dopo la deposizione di Mussolini, Pietro Badoglio, a capo del nuovo Governo, firma la resa agli Alleati l’8 settembre 1943. La notte successiva, tra il 9 e il 10 settembre, le truppe tedesche assaltano la Caserma Cella di Schio, sede di un battaglione del 57° Reggimento fanteria. Per la popolazione scledense, che il 26 luglio aveva festeggiato la fine della dittatura fascista, è un’amara disillusione. Attraverso numerosi scritti e documenti lasciati dai diretti testimoni, il saggio ricostruisce il clima della città scledense nei giorni precedenti l’annuncio dell’armistizio, il caos generato dall’insipienza dei vertici militari e politici italiani, i primi approcci alla costituzione della resistenza armata e la reazione tedesca, attuata da truppe reduci dal fronte russo. Nel vicentino, ad alcuni timidi tentativi di contrastare i tedeschi segue una rapida e generalizzata resa con la consegna delle armi e la deportazione. È l’operazione “Achse”, in realtà da tempo pianificata da Hitler. Le truppe corazzate del 132° attaccano Schio, nella notte tra il 9 e 10 settembre 1943. Viene assaltata la Caserma Cella, dove erano rimaste 1200 reclute, senza ufficiali e mal armate. I sopravvissuti Bruno Badiello, Goffredo Conte e lo scledense Guido Beccaro riscostruiscono gli eventi dello scontro. La battaglia dura fino alle 3 e 30. Alla fine, 12 soldati rimangono a terra. Quattro sono i morti italiani. Anche gli altri presìdi militari della città, tra cui la Stazione Ferroviaria, le Scuole Marconi, la Caserma di Via Porta di Sotto, la postazione antiaerea del Castello di Magrè, nella mattina seguente sono disarmati. Approfittando del favore della popolazione scledense, qualche militare italiano riesce a sfuggire alla cattura. Il 10 settembre, Schio si ritrova così occupata dalle truppe tedesche, mentre nella Caserma Cella vengono concentrati i militari italiani. Prima della deportazione finale, grazie a solidarietà e alla generosità della popolazione che scende in piazza e giunge anche a fermare la colonna dei deportati, un numero non trascurabile di militari italiani riesce a fuggire. Diverso trattamento è riservato invece al comandate della Cella, il Maggiore Jeri, coperto dalle critiche e dagli insulti dalla gente.
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